giovedì 8 maggio 2014

La meritocrazia secondo Sergio Ferrentino

Quando il cognome conta di più del talento, quando l'appartenenza politica (e non occorrono tessere di partito per "appartenere") conta di più del curriculum, quando frequentare certi ambienti conta più dell'esperienza.
Alzi la mano chi non sorride amaramente quando qualcuno promette meritocrazia
Libera Uscita ha incontrato alcuni personaggi che ci hanno parlato di merito premiato.


Sergio Ferrentino : "Merito e impegno contro le lottizzazioni"




Sergio Ferrentino, conduttore radiofonico. «La mia esperienza può considerarsi decisamente anomala rispetto a quanto spesso capita di vedere in questo Paese. Ho iniziato nel 1981 a Radio Popolare Milano dove ho passato i primi quindici anni della mia carriera: un posto dove mi sento di poter dire senza paura di smentite che “i figli di” o “parenti di” non hanno mai avuto molto spazio. E questo tanto per merito di chi prendeva le decisioni, quanto perché in radio non è difficile capire chi è capace e adatto a trasmettere e chi, invece, non lo è.

Qualche anno più tardi sono sbarcato a Radio Rai con Caterpillar, trasmissione di grande successo attorno alla quale si sono creati spazi incredibili ma sempre e solo grazie all’impegno e ai risultati che ha portato. Sono stati anni di grande lavoro: ideare, trasmettere, scrivere, condurre, dirigere e codirigere, sconfinando in televisione e a teatro.

I miei personali “incontri ravvicinati” con i raccomandati non sono stati moltissimi e, in tutta sincerità, molto spesso si è trattato di esperienze irrilevanti. Certo mi è capitato di incontrare "amanti di..."  o "fidanzate di..." e anche persone in quote politiche, non sempre incapaci per la verità. Ad ogni buon conto le raccomandazioni per coprire posizioni di rilievo sono sempre state lottizzate, in Rai in modo tragico ed evidente: una spartizione tra fazioni. 

Oggi, guardandosi attorno,  sembra emergere sempre più spesso il sospetto dello spettro sessuale dietro alcune scelte, che pare fare da sfondo e rimane quale retrogusto in molte scelte politiche e artistiche. Nulla di nuovo, peraltro. Forse, ora, più ostentato rispetto al passato».

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