MERITOcrazia

Quando il cognome conta più del talento, quando l'appartenenza politica (e non occorrono tessere di partito per "appartenere") conta più del curriculum, quando frequentare certi ambienti conta più degli studi e dell' esperienzaFatta la tara al "luogo comune" de "è tutto un magna magna" e "alla fine assumono sempre gli amici degli amici", alzi la mano chi non sorride amaramente quando qualcuno promette meritocraziaRicerca del merito anche nel mondo dell'impresa. Le cronache nazionali sono piene di storie di "appalti pubblici fatti su misura", di bandi e requisiti disegnati come una guaina sul corpo delle aziende risultate, poi, vincitrici. E non bastano forse tutte le Procure della Repubblica italiana per fare emergere il sommerso.





Abbiamo sentito alcune persone che di merito e di battaglie nei posti di lavoro ne sanno qualcosa. 
Ecco le testimonianze in ESCLUSIVA per LIBERA USCITA.


Toni CAPUOZZO: 
"Meritocrazia... se c'è umiltà" 



Toni Capuozzo, giornalista, inviato Mediaset. «Nella mia storia professionale debbo tutto al merito. Quale merito? Quello di fare con passione il mio lavoro. Credo che ognuno di noi abbia un qualche talento. Occorre capire quale sia il proprio talento, e avere la fortuna di cogliere l'opportunità per esprimerlo. Il mio talento era quello di narratore di storie, di viaggiatore, di persona che ama  la scrittura. 

Non sognavo di fare il giornalista, e a dire la verità da giovane non avevo le idee chiare su cosa avrei voluto fare. Vengo da una famiglia modesta, sono cresciuto in provincia, ho fatto studi -sociologia - che non erano mirati a diventare giornalista (cambiare il mondo, questo era quello che volevo, e mi ero iscritto a Trento per andare dove c'era una facoltà ribelle, non per prepararmi a una professione). 

Credo che da lì in poi, anche grazie a quegli anni confusi che mi hanno però insegnato molte cose, abbia contato, con il merito, la fortuna, se non il caso. E certo, anche i contatti, le conoscenze, le persone che apprezzano il tuo lavoro e se ne ricordano. Naturalmente ho attraversato una lunga e povera gavetta, ho passato periodi di disoccupazione e per vivere ho fatto di tutto, dalla revisione dei libri di geografia alle guide gastronomiche, dai testi anonimi per Tuttocittà alla preparazione di itinerari turistici. 


Ho scritto per testate importanti, ma anche per periodici e fogli minori. Credo che al talento vada aggiunta la caparbietà e l'umiltà: ho imparato a fare televisione, non ho mai pensato di sentirmi arrivato, ho studiato e provato a migliorarmi sempre, e continuo a farlo. 


Alcune caratteristiche mi hanno sempre aiutato: saper viaggiare, non temere la fatica e il rischio, amare la gente comune. Forse altre caratteristiche mi hanno chiuso altre possibilità di carriera: non amo le ideologie, la politica, non frequento salotti o circoli esclusivi, non ho amicizie che contano. Ma volevo fare  l'inviato, non il direttore. Volevo viaggiare, e ci sono riuscito. Credo, alla fine, per merito e basta. 

E certo, anche grazie a quelli che hanno creduto in me, che mi hanno dato un'opportunità. Porto un cognome che in televisione appariva, prima di me, solo in una pubblicità di Abatantuono sulla pizza, ma non sono mai stato troppo diffidente dei nomi importanti, nel giornalismo. Possono essere bravi colleghi o no, non dipende dal cognome che pure gli avrà facilitato le cose. 


Per quel che mi riguarda sono contento di essere figlio di brave persone qualunque, che mi hanno insegnato molto, e di aver fatto l'operaio in fonderia, il manovale edile, l'insegnante: ho imparato cose che gli esami da professionista non insegnano. Ho passato tanti esami nella vita, e credo che il merito abbia una buona parte nell'averli passati. Ma anche la fortuna, l'assenza di pigrizia, la curiosità sempre viva, e di nuovo la fortuna di aver vissuto anni in cui c'erano opportunità di mettersi alla prova».





Ghigo RENZULLI: "Le raccomandazioni non bastano. Il palco non mente"


Ghigo RENZULLI, musicista. «Merito? Nel mio caso credo non si possa dire altrimenti. Ho mosso i primi passi, insieme ad alcuni compagni di viaggio che diverranno i Litfiba, ma in totale autonomia. Nessuna raccomandazione. Nessun nome importante da vantare. E così ho proseguito, costruendo tutto con le mie mani, con pazienza e perseveranza.

Nell’ambiente della musica è così: puoi anche essere un raccomandato, ma si tratta solo di una spinta iniziale e se non hai talento e passione la tua strada è destinata a essere breve. L’inerzia si esaurisce in fretta, infatti, e se non hai le doti giuste non c’è raccomandazione che tenga… Sei fuori dal giro. Il palco, su questo, non mente e il pubblico, è (giustamente) spietato. Rimani e continui solo se vali. Ci sono poi le eccezioni, ovviamente. Il mio è solo un discorso generale.

Il mestiere del musicista è cosa ben diversa da un impiego al Ministero, dove la logica del ritenersi sistemato una volta arrivato al successo non funziona. Anzi. È proprio da quel momento in poi che devi dimostrare quel che sei. È proprio da quel momento che le eventuali “buone parole” che ti hanno portato lì potrebbero non servire a nulla.

Personalmente, come dicevo, posso parlare di “meritocrazia”. Nessun padre famoso (il mio era un impiegato statale) e nessuna amicizia influente. Allo stesso modo, posso dire che in questi anni nessuno abbia chiesto una mia raccomandazione, che avrei in ogni caso negato. Ho aiutato qualche musicista o cantante meritevole a trovare una band, ma nulla di più. So che potrebbe sembrare strano, in questo paese, dove siamo ormai assuefatti al malcostume. Ma è proprio così. Per mia fortuna».



Massimo FINI: "Dopo parentopoli e Fica-Power
scatta la fuga di cervelli e cervelletti"


Massimo Fini, giornalista e scrittore. «Nella mia esperienza professionale posso dire che, fin quasi alla fine degli anni ‘70, la meritocrazia c’era. Per me almeno è stato così. Sono passato da un piccolo giornale come l’Avanti L'Europeo. Là notarono che ero abbastanza bravo e ci furono anche degli aumenti di stipendio. Erano anni in cui il lavoro veniva pagato. Poi sono arrivati i sindacati che hanno appiattito tutto. Così - grazie anche alla complicità con gli editori - la qualità ha smesso di contare, non solo in ambito giornalistico. A questo peggioramento della situazione abbiamo assistito più o meno in tutti gli ambiti lavorativi. 

Quando ai giovani oggi si parla di meritocrazia, questi si mettono a ridere. E fanno bene. Di merito si parla in continuazione ma la dirigenza nel nostro Paese è sempre stata di tipo familistico. Questo connotato c’è stato (e c'è) a tutti i livelli. E non è un caso che per tanto tempo siano andate in voga le raccomandazioni del vescovo e giù, a scendere, fino a quella dello zio prete. 

Oggi ci sono lobby, gruppi di pressione. E se non ne sei parte... sei fuori. E non parlo solo di appartenenze politiche (peraltro oggi nessuno ha più la tessera di partito perché “non fa fine”). Penso ad esempio alla Rai. L’amico Daniele Luttazzi una volta mi ha detto che "sì la Televisione di Stato se la sono divisa (come una torta) i vari partiti, ma poi esistono le lobby interne, che vanno oltre i partiti". Ed è così praticamente ovunque. Se non sei figlio di...”, “parente di...” o “amico di...” in linea di massima non entri. E anche quando entri poi va a finire che vieni relegato, messo in un angolo. 

E le redazioni dei giornali e tivù sono piene di gente che lavora per tre soldi. C’è la lobby di Bagaria, la lobby ebraica... Ci sono lobby su tutto. E tutte con addentellati nei partiti. D’altra parte l’Italia è un Paese che non è né capitalista né socialista. O, meglio, ha preso il peggio del capitalismo e il peggio del socialismo. Del socialismo non ha preso il senso di uguaglianza e del capitalismo non ha preso il vantaggio dato a chi sa fare di più e meglio. 


Anche negli Usa, tuttora, nonostante i tanti difetti e nonostante il fatto che le cose stiano cambiando, se hai una buona idea, vieni premiato per quella buona idea. La meritocrazia in Italia non c'è


Se vai avanti è perché sei “amico di...” oppure vai avanti perché sei “amante di...” Si vede a tutti i livelli». Le cronache nazionali ci regalano spesso storie di scambi sessuali anche tra docenti e studentesse universitarie. Il tutto in nome di un 30 sul libretto dei voti. «Già. C’è una cosa di cui il femminismo non si è mai occupato: quello che io chiamo il fica-power (pronunciato “all’inglese”, faica). Le femministe avrebbero dovuto occuparsene, perché questa gestione del sesso da parte di alcune danneggia quelle ragazze che invece, capaci, si comportano correttamente

Questa roba qui - il nepotismo, i fenomeni familistici - c’è sempre stata, ma mai nelle proporzioni, nelle dimensioni, che vediamo adesso. Tornando ai giornali: una volta veniva assunto il figlio o la figlia del collega ma anche quello o quella  brava; oggi vengono assunti i figli dei colleghi o, in alternativa, i nipoti. Se tu leggi un cognome noto, stai sicuro che, al 90%, quel soggetto si trova in quel posto proprio perché porta quel cognome». 

C’è una via d’uscita o l'alternativa è solo salire su un aereo per andare all’estero? «Difficile trovarla, la via d'uscita. Servirebbe un cambio culturale, perché andando avanti di questo passo, il Paese non può che affondare. Certamente all’estero questi fenomeni ci sono ma in dimensioni infinitamente minori. Non occorre andare negli Stati Uniti o in Germania per vederlo. Basta andare in Svizzera. E infatti la scelta di molti è quella di filarsela. 


In questo Paese non assistiamo solo alla fuga dei cervelli ma anche a quella dei cervelletti. E chi non ha la possibilità o la forza di andarsene, finisce per restare qui. Non è un caso che l’étoile dell’Operà di Parigi sia italiana. Fosse rimasta da noi, farebbe forse parte di un qualsiasi corpo di ballo. Se poi parliamo di mestieri normali, il quadro è anche peggiore: un’emigrazine che è anche peggiore di quella dei primi anni del ‘900. 

Così, soprattutto al Sud, ci sono ragazzi che preferiscono restare a casa, vivendo delle pensioni dei padri o dei nonni. Questa situazione accentua la pigrizia. Vige la regola del “chi me lo fa fare?”. Se ci fosse la meritocrazia in Italia tutto questo non accadrebbe».





Sergio FERRENTINO: "Merito e impegno contro le lottizzazioni"




Sergio Ferrentino, conduttore radiofonico. «La mia esperienza può considerarsi decisamente anomala rispetto a quanto spesso capita di vedere in questo Paese. Ho iniziato nel 1981 a Radio Popolare Milano dove ho passato i primi quindici anni della mia carriera: un posto dove mi sento di poter dire senza paura di smentite che “i figli di” o “parenti di” non hanno mai avuto molto spazio. E questo tanto per merito di chi prendeva le decisioni, quanto perché in radio non è difficile capire chi è capace e adatto a trasmettere e chi, invece, non lo è.

Qualche anno più tardi sono sbarcato a Radio Rai con Caterpillar, trasmissione di grande successo attorno alla quale si sono creati spazi incredibili ma sempre e solo grazie all’impegno e ai risultati che ha portato. Sono stati anni di grande lavoro: ideare, trasmettere, scrivere, condurre, dirigere e codirigere, sconfinando in televisione e a teatro.

I miei personali “incontri ravvicinati” con i raccomandati non sono stati moltissimi e, in tutta sincerità, molto spesso si è trattato di esperienze irrilevanti. Certo mi è capitato di incontrare "amanti di..."  o "fidanzate di..." e anche persone in quote politiche, non sempre incapaci per la verità. Ad ogni buon conto le raccomandazioni per coprire posizioni di rilievo sono sempre state lottizzate, in Rai in modo tragico ed evidente: una spartizione tra fazioni

Oggi, guardandosi attorno,  sembra emergere sempre più spesso il sospetto dello spettro sessuale dietro alcune scelte, che pare fare da sfondo e rimane quale retrogusto in molte scelte politiche e artistiche. Nulla di nuovo, peraltro. Forse, ora, più ostentato rispetto al passato».



Tullio SOLENGHI:  
"Dal trio televisivo con Lopez e Marchesini alla vita in teatro"



Tullio Solenghi, attore. «Il valore dellameritocrazia in un paese come il nostro è quasi sempre mortificato da componenti che con essa non c’entrano assolutamente nulla. Abbiamo coniato opportune espressioni per definirle: “Avere un santo in paradiso”. O più concretamente: “Essere ammanigliati”. 

Insomma la solita raccomandazione che quasi sempre privilegia chi non ha i requisiti o il talento per assumere un incarico, occupare un posto, una poltrona, a discapito di chi invece li possiede, ma ahime’ possiede “solo” quelli... 

Il mio settore, quello dello spettacolo non fa eccezione, anche se qui la raccomandazione cede più frequentemente il posto all’appartenenza, di vario tipo, politicareligiosasessuale, in generale lobbystica... Altro fattore importante, sempre alieno dal criterio meritocratico, è l’essere “figlio di ...”. 

Quante porte si schiudono magicamente al sentir pronunciare un cognome famoso... Insomma un quadro davvero disperante che riflette il malcostume italiano più frequente ed abusato. Sia chiaro, esistono delle eccezioni, e di queste posso dire di far parte, senza alcuna presunzione. Non ho ereditato un cognome famoso, non ho mai sbandierato alcuna appartenenza politica, non ho mai fatto parte di nessuna lobby. 

Devo dire che il teatro, ambiente nel quale mi sono formato, è forse uno degli ambienti in cui se non hai i numeri è quasi impossibile ingannare il pubblico, e questo mi ha insegnato negli anni, prima da solo e poi con il Trio (Marchesini, Lopez, Solenghi, ndr), a farmi strada solo col talento, la professionalità e la tenacia. 

Se oggi sono arrivato dove sono arrivato lo devo unicamente a me stesso e alle mie forze. E questa è una soddisfazione impagabile, un orgoglio senza il quale non mi sentirei in pace con me stesso».





Pino CACUCCI: "Non è un paese per meritevoli"


Pino CACUCCI, scrittore e traduttore. «Non saprei dire se la parola "meritocrazia" abbia qualcosa a che fare con la mia vita e con ciò che ho finora ottenuto. Quel che so, con certezza, è che per trasformare una passione in un mestiere - scrivere libri - riuscendo a camparci, ho avuto qualche colpo di fortuna e tanta ostinazione, oltre a una vera e propria cocciutaggine. E che se mi fossi arreso all'infinita serie di rifiuti la fortuna sarebbe rimasta a guardare, impotente.

Guardandomi indietro forse per "merito" si potrebbe anche intendere qualche pizzico di coraggio unito a quel poco di sventatezza che da giovane mi ha portato a viaggiare senza preoccuparmi di creare una solida base, in un Paese che non offriva granché allora ... e sicuramente oggi ancora meno. Non si può certo negarlo: in Italia, troppo spesso, il merito non conta. 

Occorre così prenderne atto e andare altrove, non alla ricerca di un'inesistente terra promessa, ma perché spinti dalla convinzione che muoversi e fare esperienze arricchisce e rimette in funzione i neuroni: se l'orizzonte è opprimente, bisogna andare a vedere cosa c'è al di là. Rimanere fermi, consuma lo spirito di intraprendenza e deprime ogni energia».



Luca MERCALLI: 
"Quando la meteorologia non se la filava nessuno"

  
Luca Mercalli, meteorologo. «Quanto è contata la meritocrazia nella mia vita? Ma tutto! Un passetto dopo l’altro, con convinzione, preparazione e passione mi sono creato uno spazio e una professione in un settore, quello della meteorologia e del clima, che negli anni '80, quando ho iniziato dal nulla, era completamente ignorato e trascurato

Ho messo insieme ricerca scientificacapacità organizzativedidattiche e divulgative ben prima che Internet consentisse la facilità di contatti e di scambi attuale. Poi ovviamente accanto al mio impegno riconosco il ruolo delle persone intelligenti e ricettive che ho incontrato lungo la mia strada.

Torino è sempre stata una città intellettualmente vivace, in grado di cogliere e incoraggiare i progetti innovativi, ma è pure un ambiente severo e rigoroso, che non fa sconti, in sostanza ti devi meritare tutto, nessun pasto è gratis».

Ho fatto lo stesso con i miei collaboratori, ed ora siamo una bella squadra indipendente. Tuttavia questo in un Paese dove trionfano i favoritismi non vuol dire essere più solidi e dotati di risorse, bensì fare il doppio della fatica per emergere, e vedremo fino a quando avremo le forze di tenere duro...».



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