mercoledì 7 maggio 2014

La meritocrazia secondo Massimo Fini

Quando il cognome conta più del talento, quando l'appartenenza politica (e non occorrono tessere di partito per "appartenere") conta più del curriculum, quando frequentare certi ambienti conta più dell'esperienza.
Alzi la mano chi non sorride amaramente quando qualcuno promette meritocrazia.
Libera Uscita ha incontrato alcuni personaggi che ci hanno parlato di merito premiato.


 Massimo Fini : "Dopo parentopoli e Fica-Power
scatta la fuga di cervelli e cervelletti"


Massimo Fini, giornalista e scrittore . «Nella mia esperienza professionale posso dire che, fin quasi alla fine degli anni ‘70, la meritocrazia c’era. Per me almeno è stato così. Sono passato da un piccolo giornale come l’Avanti L'Europeo. Là notarono che ero abbastanza bravo e ci furono anche degli aumenti di stipendio. Erano anni in cui il lavoro veniva pagato. Poi sono arrivati i sindacati che hanno appiattito tutto. Così - grazie anche alla complicità con gli editori - la qualità ha smesso di contare, non solo in ambito giornalistico. A questo peggioramento della situazione abbiamo assistito più o meno in tutti gli ambiti lavorativi. 

Quando ai giovani oggi si parla di meritocrazia, questi si mettono a ridere. E fanno bene. Di merito si parla in continuazione ma la dirigenza nel nostro Paese è sempre stata di tipo familistico. Questo connotato c’è stato (e c'è) a tutti i livelli. E non è un caso che per tanto tempo siano andate in voga le raccomandazioni del vescovo e giù, a scendere, fino a quella dello zio prete. 

Oggi ci sono lobby, gruppi di pressione. E se non ne sei parte... sei fuori. E non parlo solo di appartenenze politiche (peraltro oggi nessuno ha più la tessera di partito perché “non fa fine”). Penso ad esempio alla Rai. L’amico Daniele Luttazzi una volta mi ha detto che «sì la Televisione di Stato se la sono divisa (come una torta) i vari partiti, ma poi esistono le lobby interne, che vanno oltre i partiti». Ed è così praticamente ovunque. Se non sei “figlio di...”, “parente di...” o “amico di...” in linea di massima non entri. E anche quando entri poi va a finire che vieni relegato, messo in un angolo. 

E le redazioni dei giornali e tivù sono piene di gente che lavora per tre soldi. C’è la lobby di Bagaria, la lobby ebraica... Ci sono lobby su tutto. E tutte con addentellati nei partiti. D’altra parte l’Italia è un Paese che non è né capitalista né socialista. O, meglio, ha preso il peggio del capitalismo e il peggio del socialismo. Del socialismo non ha preso il senso di uguaglianza e del capitalismo non ha preso il vantaggio dato a chi sa fare di più e meglio. 


Anche negli Usa, tuttora, nonostante i tanti difetti e nonostante il fatto che le cose stiano cambiando, se hai una buona idea, vieni premiato per quella buona idea. La meritocrazia in Italia non c'è. 


Se vai avanti è perché sei “amico di...” oppure vai avanti perché sei “amante di...” Si vede a tutti i livelli». Le cronache nazionali ci regalano spesso storie di scambi sessuali anche tra docenti e studentesse universitarie. Il tutto in nome di un 30 sul libretto dei voti. «Già. C’è una cosa di cui il femminismo non si è mai occupato: quello che io chiamo il fica-power (pronunciato “all’inglese”, faica). Le femministe avrebbero dovuto occuparsene, perché questa gestione del sesso da parte di alcune danneggia quelle ragazze che invece, capaci, si comportano correttamente

Questa roba qui - il nepotismo, i fenomeni familistici - c’è sempre stata, ma mai nelle proporzioni, nelle dimensioni, che vediamo adesso. Tornando ai giornali: una volta veniva assunto il figlio o la figlia del collega ma anche quello o quella  brava; oggi vengono assunti i figli dei colleghi o, in alternativa, i nipoti. Se tu leggi un cognome noto, stai sicuro che, al 90%, quel soggetto si trova in quel posto proprio perché porta quel cognome». 

C’è una via d’uscita o l'alternativa è solo salire su un aereo per andare all’estero? «Difficile trovarla, la via d'uscita. Servirebbe un cambio culturale, perché andando avanti di questo passo, il Paese non può che affondare. Certamente all’estero questi fenomeni ci sono ma in dimensioni infinitamente minori. Non occorre andare negli Stati Uniti o in Germania per vederlo. Basta andare in Svizzera. E infatti la scelta di molti è quella di filarsela. 


In questo Paese non assistiamo solo alla fuga dei cervelli ma anche a quella dei cervelletti. E chi non ha la possibilità o la forza di andarsene, finisce per restare qui. Non è un caso che l’étoile dell’Operà di Parigi sia italiana. Fosse rimasta da noi, farebbe forse parte di un qualsiasi corpo di ballo. Se poi parliamo di mestieri normali, il quadro è anche peggiore: un’emigrazine che è anche peggiore di quella dei primi anni del ‘900. 

Così, soprattutto al Sud, ci sono ragazzi che preferiscono restare a casa, vivendo delle pensioni dei padri o dei nonni. Questa situazione accentua la pigrizia. Vige la regola del “chi me lo fa fare?”. Se ci fosse la meritocrazia in Italia tutto questo non accadrebbe».

6 commenti:

  1. "Poi sono arrivati i sindacati che hanno appiattito tutto". La meritocrazia passa anche attraverso la valorizzazione di chi si impegna di più e lavora meglio.

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  2. Con parole POTENTI - ma difficilmente non-condivisibili - Massimo Fini racconta uno spaccato dell'Italia di oggi (e avere il suo contributo su LIBERA USCITA è stato un onore). Parla di un Paese dove il merito delle persone viene messo sotto le scarpe (certo... poi ci sono le eccezioni... chi dice di no? Ma spesso "fanno notizia"... e non dovrebbe essere così). E per tornare alla "questione delle poltrone e "deI governo" non all'altezza (e a scalare... il problema si pone a tutti i livelli e a tutte le latitudini) è difficile stupirsi di come vanno le cose. Insomma... se si continua a premiare la mediocrità (e a mettere nell'angolo chi ha qualcosa da dire e da dare) alla fine la piramide costruita sulla SABBIA dell'incapacità e delle raccomandazioni è destinata a implodere.

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  3. Dal mio punto di vista il problema della meritocrazia nasce o, forse meglio, si sviluppa con il sistema universitario moderno. L'università è passata ad essere solo per chi poteva permettersela (purtroppo) a una struttura per tutti. .una sorta di seconda scuola superiore! E l'aumento dei voti medi per migliorare il prestigio la classifica nelle università (che ha parametri molto discutibili) ha fatto la sua parte. Con queste premesse è naturale che si formi una eccellente classe mediocre.. :/ Spero di trovare spunti di riflessione su questo tema (universitario) che mi sta a cuore tra i vostri prossimi ospiti del blog! :)

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  4. A mio avviso la meritocrazia è un parametro tipicamente liberale in cui curiosamente non mi stupisco (pur rammaricandomene) che Fini sia "cascato". Il merito è infatti legato alla produttività, non alla qualità del (magari relativamente poco) lavoro svolto, e può valere in pochi casi, come nella professione del giornalista di cui Fini dopotutto ha sempre interpretato il ruolo vero ed essenziale, ma che non può essere estesa ad ogni professione tout-court. D'altronde Fini stesso ha sostenuto più volte che - nel "qui ed ora" di quel treno del Progresso da cui al tempo stesso afferma criticamente di voler scendere - lui vorrebbe che fossimo governati addirittura dalla Merkel. Non da una "semplice" (nel suo assoluto relativismo culturale e nella sua rivendicata estraneità all'Europa) Thatcher, ma dalla Merkel. D'altronde uno dei molteplici sostrati intellettuali di cui si è nutrito Fini è stato Nietzsche, tedeschissimo alla faccia del suo sedicente voler "andare al di là". La Svizzera (patria del primo e più grande e autentico antimodernista, Rousseau) viene da fini citata solo en passant, mentre andrebbe indicata come IL modello a cui riferirsi se vogliamo "salvarci", per tutta una serie di motivi, non ultimo (tra i tanti) la neutralità in guerra (che non ha nulla a che fare con le banche, come vuole la faciloneria da bar, ma proprio con la mentalità pacifica ed evolutivamente trasmessasi fino ai giorni nostri entro i confini dei cantoni dalle generazioni di cittadini e famiglie svizzere, qualcosa di ben radicato nel pensiero di quello specifico popolo, e d'altronde la stessa psicologia sociale evoluzionistica (dal pioniere John Bowlby al nostro contemporaneo Michael Tomasello) conferma i presupposti scientifici che danno credito all'idea che i confini servano a forgiare nel profondo il popolo che vi è insediato, e che né la scuola né le sovrastrutture internazionali - coi loro vincoli spesso illogici - riusciranno (si spera) mai ad estirpare del tutto. Se si contesta giustamente l'imperialismo, non si può prendere un paradigma liberale che ha contribuito alle fondamenta stesse dell'imperialismo moderno, basato non solo sulla schiavitù formale ma anche e soprattutto sulla pubblicità e sui mass-media, tutt'altro che portatori di uguaglianza, bensì di sempre più spiccata competizione. Io non voglio la competizione, non voglio la globalizzazione, non voglio il liberalismo, non voglio la Germania, non voglio la meritocrazia.

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  5. Ottimo commento di Sleepdriver. Houellebecq in un'intervista del 1995 disse che il "merito" era solo uno dei tanti paradigmi in base ai quali si gerarchizza la società; non meno quindi della bellezza, della prestanza fisica o del potere economico. "L'unica superiorità che riconosco è la bontà". Così disse. E aveva ragione. Ciò detto, non condividerei solo un punto del discorso di Sleepdriver: l'idea che il merito non possa essere legato alla qualità. Credo invece che in una società meritocratica, e quindi più elitaria, com'era quella borghese della prima metà dell'Ottocento - o ancora prima: pensiamo ai classici in musica o letteratura - il merito coincidesse con la qualità. E tutto sommato anche nel ventennio 1960 - 80 circa, in Italia, riconosciamo come meritevoli quelli che hanno saputo farcire le loro attività di una grande attenzione di tipo qualitativo. L'idea di produttività legata al merito, per quanto annidata già agli inizi negli schemi della società industriale, è diventato un dogma solo con la globalizzazione. Rispetto alla quale muoverei, pur condividendone l'antipatia, un'obiezione: il punto non è che la globalizzazione in sé sia merda, bensì che ci pone di fronte alla scelta fra libertà e felicità. L'apertura dei mercati e del mondo a tutti - potenzialmente - e una gran cosa. Una pessima cosa è invece la perdita del senso del limite caro agli antichi greci. Se l'uomo sapesse governare la globalizzazione con un alto senso del limite, si potrebbe coniugare libertà e auto-realizzazione. Fintantoché invece si correrà come dei bastardi potremo godere di un'inusitata libertà (di viaggiare, comprare, vendere, bere e scopare) ed essere in preda al profondo senso di vuoto che ti dice "Attento, questa non è felicità. Questa libertà non è felicità.". Potersi muovere liberamente è una conquista straordinaria, così come lo è la libertà di scelta. Bisogna solo re-impostare una grande narrazione civile che faccia capire dove si vuole andare a parare; se nella felicità o nell'auto-distruzione à la James Dean.

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  6. Ci sono delle imprecisioni nel riportare il pensiero di Fini dovute ad una lettura parziale e decontestualizzata: lui non ha mai inneggiato alla meritocrazia, al liberalismo ne tanto meno alla Germania (così in senso generale come è stato scritto). Dire "scambierei Berlusconi Grillo e Renzi con la Merkel" non vuol dire "voglio essere governato dalla Merkel" bensì che, se un paragone dev'essere fatto, lui preferisce la Merkel. I discorsi sulla Germania attuale e il vivo interesse di Fini per la figura di Nietzsche non sono relazionabili: di Nietzsche esalta il genio e l'intuizione, in particolare la forza e la lucidità con cui scardina i dogmi del tempo, la Germania attuale è vista da Fini come potenza da non limitare ma da sfruttare per potersi staccare dalla infinita sudditanza economica, militare e (purtroppo sempre più) culturale nei confronti degli Stati Uniti che ci portiamo dietro da ormai 70 anni. Quando Fini parla di meritocrazia, ancora una volta, effettua un semplice paragone tra gli anni '70 e oggi...non dice "voglio la meritocrazia" ma semplicemente "meglio la meritocrazia del fica-power, delle lobbies, dei familismi e di tutto il marciume che infesta la nostra società a qualsiasi livello".

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