martedì 29 luglio 2014

Insegnante indesiderata. Le parole di Piergiorgio Cattani

Insegnante indesiderata (perché lesbica) e quindi allontanata da una scuola cattolica (l'Istituto Sacro Cuore di Trento). Su questo caso dell'estate 2014 se ne sono dette, scritte e lette tante. Posizioni diverse, letture personali, opinioni a confronto nei "palazzi della politica", negli uffici, sulla carta stampata e nei bar di periferia. Ognuno con la propria verità. 
Anche LIBERA USCITA ha dedicato dello spazio: il commento di Elena Lazzari (Arci Lesbica Trentino). Abbiamo letto, detto e scritto. Abbiamo anche ascoltato. Tra i tanti interventi vi proponiamo, per gentile concessione dell'autore, l'intervento di Piergiorgio Cattani.

Qui uno stralcio. Più sotto la versione integrale pubblicata su Trentinopiergiorgiocattani.it


"Vent’anni fa ero studente in uno di questi Istituti parificati. Forse oggi le cose sono completamente cambiate, ma “ai miei tempi” si è vissuto il traumatico passaggio da un corpo insegnante costituito in prevalenza da religiosi (suore e preti) ad uno quasi del tutto laico. Ciò ha comportato un notevolissimo calo di qualità dei docenti e il grave problema della gestione finanziaria. La qualità è diminuita perché l’obiettivo della scuola non era investire sul livello dell’insegnamento e neppure garantire la coerenza con la presunta impostazione di fondo. No, la questione era quella di far quadrare i bilanci. Con una battuta si potrebbe dire che più dei “valori”, contava la “borsa valori” cioè l’effettiva tenuta economica della scuola. Così i docenti venivano sottopagati, i contratti erano ballerini, i dirigenti credevano di poter fare il bello e il cattivo tempo, il turn over era una costante. Insomma questi istituti diventavano un refugium peccatorum per docenti precari e disperati al loro primo impiego".

(...)

In merito gli opinionisti si sono già azzuffati abbastanza. Andando sul terreno dell’ispirazione cristiana dell’istituto e dei comportamenti della preside, siamo certi che suor Eugenia abbia agito con sincerità e abbia voluto garantire “agli studenti e alle loro famiglie” la qualità dell’ “impostazione culturale  e valoriale” della scuola. Domandiamoci allora qual è questa impostazione. Quella che non distingue l’omosessualità dalla pedofilia? Quella che non riesce a discernere le qualità professionali dai comportamenti privati? Quella per cui va bene un uomo con dieci amanti (donne ovviamente) e dai facili costumi sessuali, mentre è scandalosa una donna che (forse) convive con una compagna?"





Riportiamo qui sotto anche le parole di Elena Lazzari per LIBERA USCITA 


lunedì 21 luglio 2014

Insegnante lesbica? Elena Lazzari per LIBERA USCITA

Insegnante indesiderata perchè lesbica?
Per LIBERA USCITA parla Elena Lazzari
PresidentA di L'altra Venere - Arcilesbica Trentino Alto Adige

"La scuola - dichiara Lazzari - è un luogo di formazione, da cui la lesbofobia dovrebbe sparire. Insegnare è un diritto quanto il rispetto per la lesbicità. E le due cose possono coesistere senza danno per nessuno".
Di omosessualità e pregiudizi a LIBERA USCITA ci siamo occupati nel "numero zero" 






venerdì 11 luglio 2014

Oliviero Beha a Libera Uscita: «Il nostro calcio ormai è in fase terminale»


«Il calcio è malato. È  ormai a livello tumorale. È  uno sport affetto dal virus del denaro. Gli italiani se lo fanno piacere perchè non hanno altro. Il Mondiale in Brasile? Lo abbiamo visto con la squadra di casa: il calcio è morto. Conta solo ciò che succede sugli spalti». Parole di Oliviero Beha, giornalista e scrittore, esperto di calcio e Calciopoli. Cronista fuori dal coro, ha pagato cara la sua libertà. IN ESCLUSIVA per LIBERA USCITA, ci parla dello sport più bello del mondo, dello sporco, del marcio e di questo mondiale in Samba. 

Nei giorni scorsi LA7 ha trasmesso le partite del mondiale del 1982: Pertini che esulta, Bearzot con la pipa, l’urlo di Tardelli. Quanto è cambiato in questi anni il calcio? Pochi forse ricordano che lo stesso Paolo Rossi venne sdoganato in Spagna dopo lo scandalo del calcio scommesse. Il calcio era (poco) pulito allora e (molto) sporco oggi?

«All’epoca era un calcio malato, ma embrionalmente. Adesso il bubbone è scoppiato. Ora è ormai a livello tumorale. Il “caso Rossi e Manfredonia”, ricordiamo, si era concluso con delle condanne. Nel calcio, più che in altre realtà sportive e non solo, c’è un virus che si chiama denaro. Quando si parla di fondamentalismo islamico tutti, senza essere esperti, sanno di cosa si tratta. E c’è il fondamentalismo economico. Il calcio e tanti altri ambiti sportivi (e non solo sportivi) sono inquinati dal denaro. Sono inquinatissimi».


Ma il virus non esiste solo in Italia.


«Evidentemente no, ma l’Italia ha meno difese. È stata invasa dai miliardi della globalizzazione calcistica e il tessuto di partenza è debole».

Del Mondiale vinto nel 2006 però si parla poco. Forse che ricordare quel campionato del mondo significa anche ricordare la Juventus e i problemi di Mister Lippi?

«Se vogliamo fare riferimento ai processi di rimozione dalla memoria collettiva, chiedo: abbiamo mai sentito parlare veramente di cosa è stato il Mondiale di Spagna? No. Venendo al 2006 e all’Italia vincitrice... beh... su quell’epoca in cui venne alla luce Calciopoli rimane un alone. La Nazionale, si disse allora, avrebbe dovuto vincere a titolo di sanatoria. Clemente Mastella, che oggi ha qualche problemuccio sul piano giudiziario assieme alla moglie, lo disse anche pubblicamente che sarebbe servita un’amnistia preventiva. E l’Italia portò a casa la coppa. Ma il vero punto è cosa sappiamo oggi veramente di Calciopoli? Restano solo gli juventini che si sentono truffati, gli interisti che si sentono per bene e i milanisti che manco sanno come si sentono. Io, che dissi quello che c’era da dire sulla Calciopoli diffusa, ci rimisi il posto al Tg3».

Insomma, chi tocca il calcio muore?


«Sì. È vero, chi tocca il calcio muore. Mentre il calcio non muore ma cambia pelle. Nel Mondiale del Brasile si è dimostrato come sia morto in campo. Conta solo ciò che succede sugli spalti. E la presidente Dilma Vana Rousseff Linhares, che contava nella vittoria della sua Nazionale, ha fatto male i conti e se la prende in quel posto».


 

Da osservatore e da amante del pallone, riesce ancora ad entusiasmarsi quando vede una partita di calcio?

«Avete presente quando si è innamorati? Bene. Quando si è innamorati si pensa mai all'amata mentre questa siede sulla tazza del water? Direi di no. Eppure è questa  l'immagine che ho del calcio. Per mia fortuna sono stato innamorato anche io e vi assicuro che quando si fanno certi pensieri l’innamoramento passa subito. Io sono stato innamorato del calcio. E figuriamoci se non apprezzo certe giocate: mio figlio gioca, io ho giocato seriamente fino ad arrivare agli Allievi dell’Inter. Le borse sportive sono una presenza costante in casa. Diciamo che niente distrae più di questo sport». 

Lei ha scritto dell’indifferenza degli italiani di fronte ad una Nazionale che non ha giocato. Ma l’orgoglio tricolore esiste o è un orgoglio part-time?


«Abbiamo assistito ad un recitativo: gli italiani si sono messi in scena pro e contro la Nazionale, ma si tratta di finto patriottismo».

Ma perché sarebbe finto?

«È finto perché il meccanismo mediatico ha preso il posto della sostanza. Ciò che si dice diventa più importante di ciò che si vede in campo. Ma questo è un problema semiologico che ci porterebbe lontano».





Resta il fatto che c’è stata indifferenza al ritorno in patria dei giocatori italiani.


«Sì, solo indifferenza, perché la protesta e il disprezzo comportano un mettere a repentaglio cuore e viscere. Quello a cui abbiamo assistito era solo tifo, recitato».

Nei campi di calcio delle periferie cittadine ci sono ragazzini di talento. Ma oggi in serie A ci si arriva per merito? O anche lì scatta la “conoscenza”, la raccomandazione (tanto in uso in Italia)? Insomma tra il calcio di oratorio e il calcio professionistico, in mezzo, che si trova?


«Il calcio non è diverso dal resto del Paese. E perché dovrebbe esserlo? Ci sono ragazzi di talento che vengono rovinati dai padri, padri che vengono rovinati dai procuratori. Ci sono giocatori figli di genitori ricchi, che hanno comperato loro i primi anni di carriera. Poi c’era anche del talento, che è emerso. Ma quanti sono quelli di talento che restano fuori? Eclatante è il caso del figlio di Previti, che è anche un bravo ragazzo, che si è fatto un anno di panchina in Champions League. E, poi, come sempre, ci sono anche quelli sponsorizzati da un partito o dall’altro, ma come accade in qualsiasi cosa in questo Paese. Solo un deficiente può pensare che le cose vanno in un certo modo (cioè male) in tutto, tranne che nel calcio». 




Politicamente quanto sarebbe valsa a Matteo Renzi una vittoria ma, cercando di essere più realisti, una marcia dignitosa dell’Italia in Brasile?

«È difficile misurare certe cose. Diciamo che sarebbe stata in linea con lo stile di un presidente del Consiglio che dice senza fare. Qualche vantaggio, se la Nazionale avesse fatto una figura meno barbina, era stato sicuramente messo in conto». 

Torniamo al tifo per l’Italia. Non crede che, dopo essere stati politicamente (ed economicamente) sbertucciati in Europa e nel mondo, ci fosse la voglia di fare vedere che valiamo qualcosa almeno del calcio?


«Il calcio gli italiani se lo fanno piacere. È uno sport ridotto talmente male, tra casi di corruzione gestioni improbabili, che è difficile pensare che il singolo momento ci possa mettere in luce».

Perché gli italiani se lo fanno piacere?


«Perché ormai non ci è rimasto altro».



Foto fonte internet



venerdì 4 luglio 2014

Libera Uscita dice: #vorreiprendereiltreno

In un Paese fermo al Medioevo succede (anche) che un ragazzo non possa esercitare la propria libertà di utilizzare un mezzo di trasporto pubblicoIn un Paese fermo al Medioevo si deve intervenire attraverso i social network poichè anni di battaglie e richieste (lecite, sacrosante...) non sono riuscite a trovare orecchie in ascolto e mani per agire. 

E le cronache, anche locali, sono piene di casi di mala-gestione dei mezzi di trasporto pubblico, dai treni agli autobus. 
LIBERA USCITA aderisce all'iniziativa #vorreiprendereiltreno promossa da Iacopo, studente toscano, il quale, invece, sul treno spesso non può nemmeno salirci ed è costretto a twittare VORREI PRENDERE e non PRENDO. 

Costretto a desiderare un diritto che non può esercitare. Costretto non dalla sua disabilità ma da quell'inadeguatezza tutta italiana che diventa discriminazione, che trasforma un semplice viaggio in una missione impossibile o, nella migliore delle ipotesi, in un percorso ad ostacoli. 

LIBERA USCITA sta con Iacopo e con tutte le persone che, come lui, non si arrendono.




Torniamo a riflettere sul tema, ma sarebbe meglio dire sul problema, delle tante barriere architettoniche che rendono difficile se non impossibile, la vita di molte persone. Lo avevamo già fatto nel "numero zero" di LIBERA USCITA  così http://liberauscita2014.blogspot.it/2014/04/gian-piero-robbi-il-disabile.html

Per conoscere meglio Iacopo, la sua storia e il suo blog il link è questo http://iacopomelio.altervista.org/

giovedì 3 luglio 2014

Hands ... the end - foto di Lorenzo Pedergnana

Quante cose si posso dire con le mani
Molte. E lo abbiamo dimostrato.

La nostra avventura manesca finisce qui. 
In arrivo nuovi argomenti, nuovi progetti 
con nuovi modi per esprimerci.

Chiudiamo con una foto 
di Lorenzo Pedergnana

e ringraziamo le (tante) persone che ci hanno dato, letteralmente, una mano!
Il viaggio di Libera Uscita ... continua!



mercoledì 2 luglio 2014

MANI(e) MONDIALI/8 - foto di Libera Uscita

Qualcosa da dire in tema Mondiale
Anche noi, a questo punto, abbiamo qualcosa da dire 

Dopo aver toccato 
Il fondo 
tra polemiche, toto-allenatori , delusioni e tormentoni, colpe e lacrime abbiamo deciso che
Ora basta
è ora di piantarla!

Libera Uscita saluta il Mondiale e tutto il suo carrozzone con un messaggio in due foto .
E senza mani


 

martedì 1 luglio 2014

MANI(e) MONDIALI/7 - foto Stefano Molinari

Qualcosa da dire in tema Mondiale ? 
Ecco i vostri messaggi ... con le mani 

Gadget in saldo
di Stefano Molinari

A una settimana dalla sconfitta si fanno i conti, anche, con il problema dello smaltimento del gadget