Quando il cognome conta più
del talento, quando l'appartenenza politica (e non
occorrono tessere di partito per "appartenere") conta più del curriculum, quando frequentare certi ambienti conta più
dell'esperienza.
Alzi la mano chi non sorride amaramente quando
qualcuno promette meritocrazia.
Libera Uscita ha incontrato alcuni personaggi che ci hanno parlato di merito premiato.
Massimo Fini : "Dopo parentopoli e Fica-Power
scatta la fuga di cervelli e cervelletti"
Massimo Fini, giornalista e scrittore . «Nella mia esperienza professionale posso dire che, fin quasi alla fine degli anni ‘70, la meritocrazia c’era. Per me almeno è stato così. Sono passato da un piccolo giornale come l’Avanti a L'Europeo. Là notarono che ero abbastanza bravo e ci furono anche degli aumenti di stipendio. Erano anni in cui il lavoro veniva pagato. Poi sono arrivati i sindacati che hanno appiattito tutto. Così - grazie anche alla complicità con gli editori - la qualità ha smesso di contare, non solo in ambito giornalistico. A questo peggioramento della situazione abbiamo assistito più o meno in tutti gli ambiti lavorativi.
Quando ai giovani oggi si parla di meritocrazia, questi si mettono a ridere. E fanno bene. Di merito si parla in continuazione ma la dirigenza nel nostro Paese è sempre stata di tipo familistico. Questo connotato c’è stato (e c'è) a tutti i livelli. E non è un caso che per tanto tempo siano andate in voga le raccomandazioni del vescovo e giù, a scendere, fino a quella dello zio prete.
Oggi ci sono lobby, gruppi di pressione. E se non ne sei parte... sei fuori. E non parlo solo di appartenenze politiche (peraltro oggi nessuno ha più la tessera di partito perché “non fa fine”). Penso ad esempio alla Rai. L’amico Daniele Luttazzi una volta mi ha detto che «sì la Televisione di Stato se la sono divisa (come una torta) i vari partiti, ma poi esistono le lobby interne, che vanno oltre i partiti». Ed è così praticamente ovunque. Se non sei “figlio di...”, “parente di...” o “amico di...” in linea di massima non entri. E anche quando entri poi va a finire che vieni relegato, messo in un angolo.
E le redazioni dei giornali e tivù sono piene di gente che lavora per tre soldi. C’è la lobby di Bagaria, la lobby ebraica... Ci sono lobby su tutto. E tutte con addentellati nei partiti. D’altra parte l’Italia è un Paese che non è né capitalista né socialista. O, meglio, ha preso il peggio del capitalismo e il peggio del socialismo. Del socialismo non ha preso il senso di uguaglianza e del capitalismo non ha preso il vantaggio dato a chi sa fare di più e meglio.
Anche negli Usa, tuttora, nonostante i tanti difetti e nonostante il fatto che le cose stiano cambiando, se hai una buona idea, vieni premiato per quella buona idea. La meritocrazia in Italia non c'è.
Se vai avanti è perché sei “amico di...” oppure vai avanti perché sei “amante di...” Si vede a tutti i livelli». Le cronache nazionali ci regalano spesso storie di scambi sessuali anche tra docenti e studentesse universitarie. Il tutto in nome di un 30 sul libretto dei voti. «Già. C’è una cosa di cui il femminismo non si è mai occupato: quello che io chiamo il fica-power (pronunciato “all’inglese”, faica). Le femministe avrebbero dovuto occuparsene, perché questa gestione del sesso da parte di alcune danneggia quelle ragazze che invece, capaci, si comportano correttamente.
Questa roba qui - il nepotismo, i fenomeni familistici - c’è sempre stata, ma mai nelle proporzioni, nelle dimensioni, che vediamo adesso. Tornando ai giornali: una volta veniva assunto il figlio o la figlia del collega ma anche quello o quella brava; oggi vengono assunti i figli dei colleghi o, in alternativa, i nipoti. Se tu leggi un cognome noto, stai sicuro che, al 90%, quel soggetto si trova in quel posto proprio perché porta quel cognome».
C’è una via d’uscita o l'alternativa è solo salire su un aereo per andare all’estero? «Difficile trovarla, la via d'uscita. Servirebbe un cambio culturale, perché andando avanti di questo passo, il Paese non può che affondare. Certamente all’estero questi fenomeni ci sono ma in dimensioni infinitamente minori. Non occorre andare negli Stati Uniti o in Germania per vederlo. Basta andare in Svizzera. E infatti la scelta di molti è quella di filarsela.
In questo Paese non assistiamo solo alla fuga dei cervelli ma anche a quella dei cervelletti. E chi non ha la possibilità o la forza di andarsene, finisce per restare qui. Non è un caso che l’étoile dell’Operà di Parigi sia italiana. Fosse rimasta da noi, farebbe forse parte di un qualsiasi corpo di ballo. Se poi parliamo di mestieri normali, il quadro è anche peggiore: un’emigrazine che è anche peggiore di quella dei primi anni del ‘900.
Così, soprattutto al Sud, ci sono ragazzi che preferiscono restare a casa, vivendo delle pensioni dei padri o dei nonni. Questa situazione accentua la pigrizia. Vige la regola del “chi me lo fa fare?”. Se ci fosse la meritocrazia in Italia tutto questo non accadrebbe».